Appunti
In questa sezione vogliamo trattare argomenti inerenti l’organo e la musica nella liturgia, affinché ogni organista, anche se alle prime armi, sappia padroneggiare bene il suo strumento ed offra cosí un degno servizio musicale.
Le trattazioni più complesse saranno progressivamente inserite come documenti .pdf, agilmente consultabili e scaricabili, mentre le trattazioni più brevi, che fanno maggior uso di citazioni e riflessioni, saranno lasciate sulla pagina.
2. gli interventi musicali nella Santa Messa;
3. le Ore Canoniche;
4. sussidio liturgico per la celebrazione dei Vespri solenni.
4. indicazioni pratiche per l'interpretazione dela musica organistica francese.
Organo come “strumento principe della liturgia”
È importante conoscere i testi del Magistero della Chiesa: in essi si trovano piú che semplici regole o restrizioni, buttate là in maniera disinvolta, ma queste regole sono argomentate secondo profonde motivazioni o teologiche o rifacentisi alla tradizione. Quella dell’organo, infatti è tradizione antichissima: pare che al tempo di Pipino il Breve, re dei Franchi, già s’usasse questo strumento per accompagnare il canto nelle celebrazioni religiose. Anche se l’organo oggi è diventato una vera e propria “orchestra” (con tutti i limiti di questa definizione), il Concilio Vaticano II ha deciso di ribadire una tradizione millenaria.
E i motivi di questo sono variegati: si passa da motivazioni semplicemente tecniche – come la possibilità di sostenere il suono e dunque fornire un perfetto accordo con le voci – a ragioni teologiche e filosofiche. L’organo medievale, infatti, possedeva un unico corpo di canne, in piú file, che venivano suonate tutte assieme, in un blocco inscindibile (blockwerk); questa particolarità aveva un significato nella rappresentazione della Harmonia Mundi, per la quale le canne dell’organo rappresentano tutta la Chiesa unita nella lode a Dio, ognuna funzionale ma non unica indispensabile. Sebbene oggi l’organo possieda piú registri azionabili separatamente, il concetto di Harmonia Mundi non viene affatto meno, anzi, ne è rafforzato, in quanto i registri che si uniscono tra loro rappresentano i fedeli, che raggiungono un perfetto accordo personale per cantare la loro lode a Dio.
Per questo motivo, i registri dell’organo vanno saputi utilizzare al meglio. Vediamo dunque le descrizioni che fece Alessandro Esposito nella sua Antologia Organistica.
I registri si dividono in tre categorie principali:
registri di fondo (Principali e Flauti). Costituiscono il fondamento sonoro dell’organo e dànno il vantaggio di amalgamarsi e di fondersi con qualunque altro registro;
registri di mutazione. Dànno un suono mutato rispetto al suono fondamentale e si dividono in: registri di mutazione semplice (Duodecima, Flauto XII, Decimanona, etc.), che producono un solo armonico, e in registri di mutazione composta (Cornetto, Ripieno, Sesquialtera), che producono simultaneamente due o piú suoni armonici. Questi ultimi sono i registri piú caratteristici dell’organo, e il loro timbro non è paragonabile a quello di nessun altro strumento;
registri ad ancia (Tromba, Oboe, Cromorno, Clarinetto etc.). Producono il suono a mezzo di una linguetta vibrante;
Nel preparare una registrazione si tenga presente che:
non si devono accoppiare registri di mutazione, semplice o composta, con registri battenti (Voce Umana, Unda Maris, Voce Celeste, etc.);
non si deve cambiare registrazione durante un pezzo che contiene un unico pensiero musicale (corale);
si deve cambiare registrazione quando in un pezzo subentra un nuovo elemento.
Riguardo quest’ultima annotazione, c’è da dire che nella moderna pratica interpretativa è subentrato notevolmente l’approccio filologico nei confronti delle opere degli antichi. Alla luce di questa prassi d’interpretazione non è piú valido un alternarsi continuo di piani sonori come accadeva al tempo di Esposito, in cui le opere antiche venivano riviste in un’ottica post-romantica. Nulla toglie, però, che l’organista preferisca dare questo ultimo accento anziché attenersi strettamente alle teorie filologiche, le quali a volte risultano persino iperboliche e poco rispettose della sensibilità musicale dell’artista.
Nel testo succitato si parla anche di registri battenti.
Ora andiamo a definire meglio le caratteristiche, il funzionamento e il ruolo all’interno dello strumento di questi registi peculiari. Si tratta di registri di invenzione risalente perlopiú al XIX secolo, quando le tecniche di costruzione delle canne erano progredite notevolmente, eccetto la Voce Umana, registro caratteristico del Seicento, probabilmente importato in Italia dai fiamminghi; Monteverdi fu il primo a farne uso come “effetto speciale”, infatti il battimento, che è il fenomeno in cui l’intonazione della nota oscilla lievemente, si ottiene accoppiando, per ogni tasto, due canne dello stesso timbro “stonate” di qualche Hertz. Piú ampia è la differenza d’intonazione, piú veloce è il battimento e questo dipende dalla Scuola dell’organaro e dalle sue visioni estetico-timbriche.
I nomi dei registri battenti variano a seconda della zona, del periodo e del tipo di canne utilizzate; comunque, in linea di massima, Voce Umana, Fiffaro (usualmente intonati crescenti rispetto all'intonazione generale), Unda Maris (usualmente intonata calante rispetto all'intonazione generale), Voce Celeste, Coro Viole (perlopiù intonati crescenti, ma talvolta vengono combinate file crescenti e calanti) sono i nomi dei registri battenti piú diffusi.
Nel loro utilizzo nella Liturgia è opportuno fare molta attenzione:
accoppiati a registi di fondo, possono essere usati nell’esecuzione di pezzi della letteratura organistica (a partire da Frescobaldi) e nell’improvvisazione;
non devono essere utilizzati nell’accompagnamento di cori, assemblee e di voci in generale in quanto, a parte l’effetto particolarmente suggestivo e gradevole che producono, essi sono effettivamente stonati rispetto all’organo e renderebbero instabile l’intonazione dei cantori.